Bambini e guerre

Bambini in guerra, un fenomeno in drammatica crescita

Nel mondo, quasi 500 milioni di bambini sono coinvolti in guerre e conflitti, riportando gravi danni fisici e psicologici. Un fenomeno drammatico e in crescita, nonostante numerosi documenti internazionali impegnino gli Stati a proteggere i minorenni dalle conseguenze delle operazioni belliche.

Prima il conflitto in Ucraina, poi la recrudescenza degli scontri in Palestina. Negli ultimi anni, le immagini di guerra sono tornate a essere una presenza mediatica forte e ingombrante, quasi prepotente. In realtà, però, anche quando meno visibili, le guerre nel mondo sono sempre state una tragica costante. Dalle guerre civili che insanguinano ciclicamente il continente africano alle operazioni militari condotte un po’ ovunque in nome della lotta al terrorismo: il mondo, nell’ultimo secolo, non ha mai conosciuto un giorno di vera pace globale. E a fare le spese di queste guerre, ovviamente, sono soprattutto i più fragili e indifesi, tra cui i bambini, costretti a portarne a vita i segni fisici e psicologici. Una realtà tragica, tristemente ampia e multisfaccettata, che vede bambini costretti ad agire come soldati o perdere tutto - la salute, gli affetti, la vita - sotto le bombe.

Quanti sono i bambini coinvolti nei conflitti nel mondo?

Secondo il rapporto pubblicato dall’UNICEF  (2024), più di 473 milioni di minorenni, cioè quasi uno su cinque, vivono in aree direttamente colpite da guerre e conflitti violenti (la maggior parte, più di 180 milioni, si trovano in Africa). È il dato più alto mai registrato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e sottolinea l’aggravarsi di una crisi umanitaria ormai globale e intergenerazionale. A confermare la gravità del fenomeno sono anche i dati contenuti da un altro rapporto, firmato dalle Nazioni Unite, secondo cui, nel solo 2023, nei teatri di guerra, sono state accertate oltre 32.000 gravi violazioni dei diritti umani a danno di quasi 23.000 minorenni (in maggioranza maschi), con un aumento del 23% rispetto al 2022. Anche questo è un record negativo che non ha precedenti da quando è iniziato questo tipo di monitoraggio, cioè circa 20 anni fa. Tra queste violazioni, figurano l’uccisione e la mutilazione, l’arruolamento forzato in eserciti e gruppi armati, i rapimenti e gli attacchi deliberati a strutture civili come scuole e ospedali. A preoccupare maggiormente per la loro violenza, oltre ai già citati conflitti in Palestina ed Ucraina, sono quelli in Burkina Faso, nella Repubblica Democratica del Congo, in Myanmar, in Somalia, in Sudan e in Siria.

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Bambini vittime della guerra, le conseguenze e gli effetti a lungo termine

I dati drammatici visti fin qui rendono evidente quanto le conseguenze dei conflitti armati incidano sulla vita dei bambini. Anche quando sopravvivono, infatti, rischiano pesanti effetti sia nel breve che nel lungo periodo. Nell’immediato, i bambini coinvolti in zone di guerra perdono l'accesso a beni e servizi essenziali: cibo, protezione, istruzione, cure mediche. Inoltre, con le loro famiglie sono spesso costretti a lasciare la loro casa, la loro città e la loro quotidianità, ritrovandosi a vivere da profughi, in alloggi di fortuna e in condizioni di estremo disagio. Una precarietà a cui, in molti casi, si aggiunge purtroppo la perdita di uno o di entrambe i genitori. La mancanza di assistenza sanitaria e l’impossibilità di essere sottoposti a una regolare prassi vaccinale, poi, espone i più piccoli a malattie prevenibili e aggrava le conseguenze delle violenze subite. Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in aree di conflitto, la mortalità infantile può aumentare drasticamente, a causa di infezioni, malnutrizione e traumi non trattati tempestivamente.

Nel lungo periodo, invece, l’assenza di cure adeguate e tempestive può essere causa di disabilità o di sviluppo di patologie croniche. Allo stesso modo, l’interruzione dei percorsi educativi crea un danno profondo e duraturo, compromettendo le possibilità di crescita personale e sociale, e privando i bambini di un futuro dignitoso.

Infine, un discorso a parte lo merita la salute mentale. Sul piano psicologico, infatti, le conseguenze della guerra sono altrettanto devastanti. L’UNICEF segnala che migliaia di bambini, a seguito del coinvolgimento nei conflitti armati, soffrono di disturbi da stress post-traumatico, ansia, depressione e altre condizioni mentali che compromettono gravemente la loro crescita. Questi effetti a lungo termine creano un'intera generazione segnata, con difficoltà nel reinserimento sociale, nella formazione scolastico-professionale e nello sviluppo personale.

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Le norme internazionali per la protezione dei bambini nei conflitti armati

Ma cosa si è fatto, negli anni, a livello globale, per proteggere i bambini dalla guerra? Esistono numerosi accordi e leggi internazionali che affrontano il tema della protezione dei bambini nei conflitti armati, offrendo un quadro giuridico ampio e specifico. Questi documenti costituiscono nel loro insieme una solida rete normativa e operativa che vincola legalmente la comunità internazionale a intervenire concretamente per garantire ai bambini una protezione efficace e duratura durante e dopo i conflitti.

Tra i più importanti strumenti normativi internazionali troviamo:

Convenzioni di Ginevra (1949) e i relativi Protocolli aggiuntivi I e II (1977). Le quattro Convenzioni di Ginevra stabiliscono norme fondamentali di diritto internazionale umanitario, con particolare attenzione alla tutela dei civili, inclusi i bambini, nei conflitti armati. In particolare, il Protocollo aggiuntivo I, all’articolo 77, prevede esplicitamente la protezione speciale dei bambini nei conflitti internazionali, proibendo l’arruolamento forzato e l’uso diretto nei combattimenti dei minori di 15 anni. Invece, il Protocollo aggiuntivo II, all’articolo 4, estende la protezione anche ai conflitti armati non internazionali, vietando reclutamento e partecipazione diretta dei bambini sotto i 15 anni nelle ostilità.

Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989). È il documento fondamentale in materia di protezione dei diritti dei bambini. Per quanto riguarda il tema della loro tutela negli scenari di guerra, gli articoli 38 e 39 chiedono rispettivamente e agli Stati di adottare misure adeguate a garantire che i bambini sotto i 15 anni non siano arruolati nelle forze armate o direttamente coinvolti nelle ostilità;  di garantire programmi adeguati di recupero fisico e psicologico per i bambini vittime di conflitti.

Protocollo opzionale della CRC sul coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati (2000). Rafforza ulteriormente le disposizioni della CRC, elevando a 18 anni l'età minima per il reclutamento obbligatorio nelle forze armate (articolo 2), e impegnando gli Stati firmatari a adottare tutte le misure possibili per impedire il coinvolgimento di minori nelle ostilità armate (articolo 4).

Risoluzione 1612 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (2005).     Questo intervento ha istituito un meccanismo specifico di monitoraggio e rendicontazione per denunciare le violazioni gravi contro i bambini nei conflitti armati, tra cui uccisioni, mutilazioni, arruolamento forzato e attacchi contro scuole e ospedali. Inoltre, ha creato anche la possibilità di segnalare al Consiglio di Sicurezza gli Stati e i gruppi armati che commettono tali violazioni per intraprendere azioni mirate e sanzioni.

Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale (1998). Definisce chiaramente, nell'articolo 8, come crimine di guerra il reclutamento, sia obbligatorio sia volontario, e l’utilizzo attivo nei combattimenti di minori di 15 anni. Questo ha permesso alla comunità internazionale di perseguire penalmente chi si rende responsabile di queste gravi violazioni dei diritti umani dei bambini.

Agenda per l’infanzia colpita dai conflitti armati (1996). È un documento programmatico delle Nazioni Unite che delinea misure precise per prevenire l’arruolamento forzato e per garantire protezione, reinserimento sociale e sostegno psicologico ai bambini vittime dei conflitti armati.

Linee guida di Parigi (2007). Promosse dall’UNICEF e da altri organismi internazionali, le linee guida definiscono principi operativi per la liberazione, il recupero psicologico e sociale e la reintegrazione nella società dei bambini coinvolti in conflitti, richiamando direttamente la responsabilità di oltre cento Stati che le hanno sottoscritte.

Adotta a distanza i bambini coinvolti nelle guerre

Fin qui, gli impegni internazionali assunti dagli Stati per proteggere i bambini dagli effetti devastanti della guerra. Ma c’è qualcosa che ognuno può fare per dare il proprio aiuto: adottare a distanza un bambino costretto a crescere circondato dalla violenza delle armi. Come SOS Villaggi dei Bambini, siamo presenti in molti contesti di conflitto, dove ci occupiamo di garantire a tutti i minorenni protezione, cure e istruzione. Per questo motivo, attraverso di noi è possibile attivare adozioni a distanza sicure e affidabili, in Paesi oggi particolarmente sofferenti, come l’Ucraina e la Palestina.

In Ucraina, siamo presenti dal 2003, con un Villaggio SOS a Kiev, accanto a bambini e ragazzi privi di cure familiari o a rischio di perderle. A partire dal febbraio 2022, 30mila adulti e bambini sono stati evacuati in sicurezza all'interno dell'Ucraina, altri 1.390 minorenni sono stati portati in salvo fuori dal Paese e 690 bambini sfollati sono supportati direttamente dai nostri operatori. Inoltre, sono state attivate circa 17mila consulenze sulla salute mentale, in Ucraina e nei Paesi limitrofi, che ospitano molti rifugiati. Uno sforzo importante, realizzato grazie al sostegno dei tanti che hanno scelto di adottare a distanza i bambini ucraini accolti dal Villaggio SOS di Kiev.

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Anche in Palestina, le nostre attività non si sono mai fermate, nonostante uno dei due Villaggi SOS presenti nel Paese, quello di Rafah, nella Striscia di Gaza, sia stato completamente distrutto dai bombardamenti. Bambini e operatori che vivevano lì, evacuati per tempo, si trovano oggi in parte nel Villaggio SOS di Betlemme e in parte in zone più sicure della Striscia. A loro continuiamo a garantire protezione, beni di prima necessità e supporto psicologico. Adottare il Villaggio SOS di Rafah, quindi, significa garantire un aiuto a tutti i bambini sostenuti. È sufficiente una donazione piccola ma regolare (meno di 1 euro al giorno) per assicurargli le cure quotidiane di un’educatrice, l’assistenza sanitaria e l’educazione anche durante l’emergenza.

 

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