Sono stati raccolti 320 contributi di 32 paesi: ogni testo è stato analizzato. L’essenza di questi contributi, che danno la visione generale di un modello funzionale, delle sue imperfezioni e dei problemi dell’assistenza all’infanzia che cresce fuori dal proprio nucleo familiare, sono stati inclusi nell’analisi degli standard di qualità.
Presentiamo due esempi dei contributi originali
“Dall’aggressività al dialogo”
Nome: Flavia (*)
Ruolo: giovane accolta in una casa famiglia
Flavia ha 19 anni e vive al Villaggio SOS di Roma dall’età di 12, allontanata da un ambiente sociale a rischio. Il suo ingresso in comunità è stato problematico e connotato da episodi di aggressività. E’ di indole ribelle e racconta della sua vita in comunità descrivendola con emozioni altalenanti: rispondeva male, non accettava le regole e rifiutava il dialogo, ma col tempo ha riconosciuto il grande valore della comunità che ha cercato di farle capire come i problemi non si risolvano semplicemente con atteggiamenti ostili.
In particolar modo il rapporto con il direttore ha contribuito a darle sicurezza anche perché lui ha cercato di trattarla come un’adulta. Ha capito l’importanza dell’allontanamento dal suo ambiente, dove ancora teme di ritornare, nonostante le manchino molto i famigliari.
All’interno del Villaggio l’hanno sostenuta e aiutata a comprendere l’importanza della scuola e del saper impostare la vita attraverso una serie di regole che devono essere interiorizzate, sebbene ancora oggi fatichi a rispettarle a pieno. Pensando alla sua esperienza, Flavia immagina una porta che si aprirà il giorno in cui si sentirà pronta ad uscire.
“ Sanno sempre dove trovarmi”
Nome: Roberto (*)
Professione: Direttore di una casa per bambini
Roberto è un prete cattolico che ha attivato una casa di accoglienza per bambini da 3 anni. Prima ha fatto il coordinatore educativo per 2 anni. In questo modo ha potuto imparare come agire in una tipica casa di accoglienza per ragazzi maltesi.
Ha iniziato raccontandoci che una casa non è un gran servizio, perché può accogliere al massimo 24 bambini. Ci ha raccontato che negli anni passati qualcosa è cambiato nel modo di gestire la casa. Inizialmente la casa era chiamata istituto, ma poi questo vocabolo è stato abolito, perché aveva delle connotazioni troppo negative.
Fino all’inizio degli anni 90, i ragazzi stavano in una camerata unica, dove praticamente non esisteva una sfera privata e ogni cosa apparteneva a tutti ( o a nessuno!) Con un lavoro di ristrutturazione di un palazzo centenario sono stati ricavati 3 appartamenti, ognuno per 8 ragazzi. Ogni appartamento ha stanze singole, una cucina, un’area per giocare.
Roberto ci ha raccontato com’è stata grande la sfida di ricavare 3 mini appartamenti da un edificio così grande. E’ senza senso accogliere dei giovani in un istituto e aspettarsi che a 18 anni se la possano cavare da soli.
Roberto ha poi enfatizzato come un minor numero di ragazzi a casa voglia dire anche una migliore e più profonda possibilità di relazione con loro. Inoltre mentre fino al 1990 i bambini erano per lo più seguiti dai preti, oggi ci sono uomini e donne laici a prendersi cura dei ragazzi, come in una normale famiglia.
Dirigere la casa non significa per lui solo lavoro amministrativo: Roberto ama stare con i ragazzi, specialmente quando imparano ad accudire gli animali domestici. La grandezza dell’edificio permette ai ragazzi delle attività che non sarebbero possibili in uno spazio più piccolo. Recentemente ha permesso a un ragazzo di portare a casa una capra come animale domestico.
Roberto è convinto che gli animali abbiano un significato particolare per i bambini traumatizzati. E i bambini imparano a capire come ci si prende cura degli altri. Roberto ci ha raccontato che quando sembravano esserci “casi senza speranza”, gli animali hanno portato una luce speciale nella vita di tanti bambini.
Un’altra cosa molto importante per Roberto è che i ragazzi sappiano che possono sempre fare affidamento e andare da lui se hanno bisogno, perché lui vive nella stessa casa. Per molti di loro è quasi impossibile pensare che un adulto abbia del tempo da dedicare.
Roberto crede che il successo della sua struttura possa essere misurato a differenti livelli, ma non sottovaluta l’effetto che può avere sui ragazzi vivere in una struttura del genere: così si assicura sempre che si sentano integrati, amati e a casa.
(*) i nomi sono di fantasia a tutela della privacy delle persone