Diritti dei bambini

Il diritto alla partecipazione e all’ascolto, un impegno per dare voce ai bambini

Il diritto dei bambini alla partecipazione e all’ascolto è uno dei pilastri su cui si fonda la Convenzione per i Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e uno dei principi che guidano l’azione di SOS Villaggi dei Bambini. La codificazione di questo diritto, infatti, ha rappresentato un vero e proprio cambio di paradigma: dal bambino come oggetto di tutela al bambino come soggetto di diritto. Un’evoluzione che affonda le sue radici nel lavoro di tanti intellettuali, pedagogisti e scienziati, come Rousseau, Piaget e Montessori.

Per molto tempo, i bambini sono stati considerati degli “adulti in miniatura”, cioè delle persone incomplete da educare e formare fino a farli diventare individui maturi. Questa concezione ha lungamente influenzato i principi e le regole di tutti gli ambiti in cui i bambini sono coinvolti, a cominciare dalla famiglia e dalla scuola. In campo giuridico, questo approccio si è tradotto nell’idea che il minorenne dovesse essere oggetto di tutela, più che soggetto di diritto.

Già a partire dalla fine del 1700, però, questa lettura del bambino come “minore” è stata messa in discussione dalle riflessioni di illustri intellettuali, pedagogisti, neuroscienziati. Precursore, in tal senso, può essere considerato Jean-Jacques Rousseau, che nel suo trattato “Emilio o dell’educazione” (1762), definisce il bambino come un essere con bisogni e modalità di apprendimento proprie, sostenendo che l'educazione deve rispettare la sua natura e il suo sviluppo spontaneo. Il vero cambio di paradigma, però, si è compiuto nel XX secolo e il merito è attribuibile, tra gli altri, a Jean Piaget e Maria Montessori. Il primo ha rivoluzionato la psicologia dello sviluppo, dimostrando che i bambini non sono adulti in divenire, ma attraversano fasi cognitive specifiche con modalità di ragionamento proprie, confutando così l'idea di incompletezza. La seconda, invece, ha enfatizzato la competenza innata del bambino, sostenendo che, se messo in un ambiente adeguato, può sviluppare autonomia e capacità di apprendimento indipendente.

Nell’ambito del diritto internazionale, la svolta si è avuta con la promulgazione della Convenzione Internazionale per i Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, che ha accolto questo cambio di visione, applicandolo in campo giuridico e riconoscendo quindi ai bambini la capacità di contribuire attivamente alla società. Non più, quindi, un minorenne destinatario passivo delle decisioni degli adulti ma protagonista attivo della propria vita. In tal senso, la norma chiave è rappresentata dall’articolo 12 della Convenzione, che sancisce il diritto dei bambini all’ascolto e alla partecipazione, considerato uno dei principi fondamentali di tutto il documento. Riconoscere il ruolo chiave della Convenzione, però, non significa considerare concluso il percorso verso il riconoscimento dei minorenni come persone autonome e compiute. La strada da fare è ancora lunga e le difficoltà e le resistenze sono molte. Ma il sentiero è tracciato.

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Il diritto dei bambini alla partecipazione e all’ascolto: caratteristiche e confini

Per comprendere meglio la portata dell’articolo 12 della Convenzione è bene partire dall’analisi del testo in cui è condensato.

“Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.

A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato, in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale.”

Il primo elemento rilevante è il riferimento al “fanciullo capace di discernimento” come colui che può esercitare il diritto alla partecipazione. Gli estensori della Convenzione hanno fatto una scelta chiara: non definire a priori un’età in cui il bambino può essere considerato capace di esprimere la propria opinione ma fare riferimento a un concetto evolutivo come il discernimento. La capacità di discernimento, infatti, cresce insieme al fanciullo e soprattutto varia caso per caso.

Nella prima parte dell’articolo, poi, si identificano bene le due facce della medaglia del diritto alla partecipazione:

  • diritto del bambino di esprimere la propria opinione;
  • dovere degli adulti di prendere in considerazione tali opinioni.

La seconda parte dell’articolo, invece, è espressamente indirizzata agli Stati e alle loro articolazioni amministrative, con una prescrizione netta: dare spazio ai minorenni in tutte le procedure in cui sono coinvolti.

Ricapitolando, quindi, la CRC ridisegna i contorni della figura del bambino, affermando che:

  • ha voce nelle decisioni che lo riguardano, quindi non basta proteggerlo, bisogna ascoltarlo e considerare la sua opinione;
  • ha autonomia progressiva, modulata in base alla sua età e maturità, per prendere parte alle scelte che impattano la sua vita;
  • non è solo un beneficiario di diritti ma un attore sociale, che può contribuire alla società, partecipare a decisioni pubbliche, scolastiche e comunitarie.

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Le applicazioni pratiche del diritto all’ascolto e alla partecipazione dei bambini, tra buone intenzioni e difficoltà

Coincidendo con l’intera vita del minorenne, pubblica e privata, i confini di applicazione dell’articolo 12 sono piuttosto ampi. Il diritto alla partecipazione e all’ascolto, quindi, deve trovare attuazione a scuola, nel sistema legale, nelle politiche pubbliche, nell’azione di associazioni e organizzazioni che si occupano di giovani e infanzia. E deve trattarsi di un ascolto reale, concreto, non solo formale e simbolico. Questo significa che vanno creati adeguati spazi, procedure e strumenti attraverso cui questa libertà di esprimersi può essere esercitata. Le implicazioni pratiche di questa affermazione di principio sono tante e profonde.

Se si guarda al campo del diritto all’istruzione, ad esempio, l’applicazione effettiva del diritto alla partecipazione chiede di superare un’idea di scuola come luogo in cui gli adulti insegnano e i bambini apprendono, andando invece verso un modello che promuove metodologie didattiche inclusive, assemblee, consigli degli studenti e un dialogo aperto e costante.

Un protagonismo che è importante riprodurre anche a livello di istituzioni pubbliche. Molti Comuni hanno Consigli Comunali dei Ragazzi, ma spesso sono solo simbolici. Nel 2018, l’Autorità garante per l’Infanzia e l’Adolescenza ha scelto di dare vita alla Consulta dei ragazzi e delle ragazze, composta da giovani tra i 13 e i 17 anni, con il compito di esprimere pareri sui temi da portare all’attenzione delle istituzioni. Sempre l’Autorità si è dotata di un sistema di Consultazioni online e ha istituito anche il Consiglio Nazionale dei ragazzi e delle ragazze, il cui lavoro va ad arricchire il punto di vista del Garante.

È in campo giurisdizionale, però, che dal diritto all’ascolto e alla partecipazione scaturiscono le implicazioni più forti, in ambiti cruciali come:

  • affidamento e adozione: i bambini devono poter esprimere la loro opinione sulle decisioni riguardanti la loro famiglia e la loro tutela legale;
  • cause di separazione o divorzio dei genitori: i bambini devono essere ascoltati in merito a dove e con chi desiderano vivere;
  • procedimenti di protezione minorile: nei casi di maltrattamento o abbandono, il bambino deve poter far sentire la sua voce.

La complessità e la delicatezza delle ricadute che questo nuovo protagonismo dei bambini genera è anche la ragione alla base di molte resistenze che ne frenano la concreta applicazione. Come detto, di passi avanti ne sono stati fatti molti ma il traguardo è ancora da raggiungere. Gli ostacoli più importanti sono rappresentati senza dubbio da barriere culturali (soprattutto nei contesti sociali in cui l’impronta patriarcale e paternalista è molto forte), disuguaglianze economiche e sociali (i bambini più vulnerabili hanno ancora meno possibilità di far sentire la propria voce), mancanza di strumenti concreti di partecipazione (che anche dove esistono, sono spesso ininfluenti).

Come SOS Villaggi dei Bambini, consideriamo il diritto all’ascolto e alla partecipazione un pilastro fondamentale su cui costruire i nostri interventi. Riconoscere ai bambini un ruolo attivo, infatti, significa costruire una società in cui il loro punto di vista può essere un elemento attivo di cambiamento. Il percorso segnato dalla CRC è chiaro, ma la sua realizzazione piena richiede un impegno concreto: non basta dichiarare principi, occorre tradurli in prassi quotidiane, garantendo ai bambini spazi autentici di espressione e coinvolgimento. Ascoltarli non è solo un atto di giustizia, ma anche un investimento sulla qualità della nostra democrazia e sul futuro che vogliamo costruire.

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