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Discriminazioni

Il razzismo in Italia, contorni e numeri di un fenomeno difficile da sradicare

L’Italia è un Paese che deve fare ancora i conti con il razzismo, come rivelano anche i dati di UNAR e ISTAT. Un fenomeno figlio del periodo coloniale e che oggi trova sfogo contro particolari categorie di persone, come i migranti e le comunità di rom e sinti. Lungi dall’essere un problema individuale, il razzismo è un male collettivo, e come tale deve interrogare la politica, i mass media e tutta la società civile.

L’Italia è un Paese razzista? La domanda è di quelle che, di tanto in tanto, rimbalzano nel dibattito pubblico, nelle aule della politica, sui media e tra le persone comuni. E probabilmente è una domanda, che, per come è posta, non può avere una risposta netta, univoca, certa. È infatti difficile dire se un Paese è, in blocco, razzista. Più facile, magari, è analizzare la diffusione del razzismo in una popolazione, capire quante persone coltivano sentimenti razzisti e con che forza. Soprattutto, è utile e ha senso comprendere attraverso quali comportamenti questo razzismo si manifesta, contro chi e quali anticorpi vengono introdotti per arginarlo. Meglio quindi riformulare quella domanda: in Italia c’è ancora il razzismo? E poi ampliarla: in che modo e con che forza è presente?

Cosa si intende per razzismo

La risposta a questi interrogativi non può che partire dall’inquadramento del problema e quindi dal definire cos’è il razzismo. In linea generale, con questo termine si indica un sistema di pensiero, di pratiche e di strutture sociali che attribuisce valore, diritti e opportunità alle persone in base alla loro appartenenza razziale o etnica. Secondo questa idea, quindi, non siamo tutti uguali e non abbiamo tutti gli stessi diritti ma dobbiamo essere differenziati e gerarchizzati in base alla nostra origine etnica. Alla base del razzismo, quindi, c’è la convinzione che l’umanità sia divisa in razze distinte, alcune delle quali ritenute superiori ad altre. Una convinzione che, purtroppo, per lungo tempo, ha trovato sponda nella scienza. O meglio, in una falsa scienza, piegata al volere di ideologie violente e sopraffattrici. Perché oggi è ormai assodato che la distinzione tra razze non ha alcun fondamento scientifico.

È molto interessante anche passare al vaglio le principali definizioni giuridiche che sono state sviluppate in campo internazionale per tracciare il perimetro di ciò che può essere considerato razzismo. Una delle più condivise è quella contenuta nella Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, promulgata dalle Nazioni Unite nel 1965. Nel testo il razzismo viene definito come:

“Ogni distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, che abbia lo scopo o l’effetto di annullare o compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali”.

Anche l’UNESCO, nel suo impegno per contrastare il razzismo a livello globale, ha affermato che:

“Il razzismo si manifesta attraverso comportamenti, atteggiamenti e politiche che negano l’uguaglianza fondamentale degli esseri umani, in nome di una presunta superiorità biologica o culturale”.

Da parte sua, il Consiglio d’Europa, attraverso l’ECRI (Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza), ha scelto di ampliare ulteriormente il concetto, definendo il razzismo come:

“La convinzione che un motivo come razza, colore della pelle, lingua, religione, nazionalità o origine nazionale o etnica giustifichi il disprezzo di una persona o di un gruppo di persone, o l'idea della loro inferiorità”.

Nel tempo, poi, la nozione di razzismo si è evoluta, per non essere più limitata ai soli atti di odio o violenza, ma includendo anche forme più sottili e radicate nella società. Oggi si parla sempre più spesso di razzismo sistemico o strutturale, per descrivere quelle disuguaglianze che si annidano nelle istituzioni (scuola, sanità, giustizia, mercato del lavoro) e che finiscono per colpire sistematicamente alcune persone in base alla loro origine, al colore della pelle o alla cultura di appartenenza. Fondamentale, però, è comprendere che il razzismo non è solo un problema individuale ma un fenomeno sociale persistente e profondamente radicato. E che ha anche radici antiche.

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Breve storia del razzismo in Italia

Volendo tracciare una breve cronistoria del razzismo in Italia, senza però andare troppo indietro nel tempo, si possono prendere in considerazione gli ultimi 150 anni. Senza dubbio, infatti, le radici più profonde del razzismo italiano affondano nel passato coloniale del Paese, spesso poco conosciuto o sottovalutato. Tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, l’Italia, come molti altri Paesi europei, fu potenza coloniale in Africa, dove sottomise Eritrea, Somalia, Libia, Etiopia. In quegli anni, è stata costruita un’immagine dell’altro fondata su una presunta inferiorità delle popolazioni africane. Durante la guerra d’Etiopia (1935-36), il regime fascista introdusse leggi che vietavano i matrimoni misti e promuovevano la segregazione razziale, anticipando la svolta ancora più drammatica delle leggi razziali del 1938, che colpirono duramente gli ebrei italiani, privandoli di diritti civili, scolastici e lavorativi, segnando uno dei momenti più bui della storia recente.

Dopo la Seconda guerra mondiale e la fine del fascismo, l’Italia ha attraversato un lungo periodo in cui il razzismo è stato spesso rimosso dal dibattito pubblico, come se non esistesse più. Eppure, a partire dagli anni ‘80, con l’aumento dell’immigrazione, sono riemersi stereotipi e paure nei confronti di chi veniva percepito come diverso. Il razzismo ha così assunto nuove forme e non si è più basato su ideologie esplicite, ma è stato veicolato da narrazioni mediatiche e discorsi politici che contrappongono italiani e stranieri, cittadini e persone migranti. Una tendenza proseguita negli anni duemila, quando il dibattito pubblico si è spesso concentrato sull’immigrazione come emergenza, alimentando un clima di diffidenza e ostilità. Inoltre, alcuni gruppi, come le comunità rom e sinte, sono diventati bersagli frequenti di campagne discriminatorie e, a tutt’oggi, le persone con la pelle nera o afrodiscendenti, anche se nate e cresciute in Italia, subiscono esclusioni e stereotipi legati al loro aspetto.

Il razzismo in Italia oggi: i dati e le categorie più colpite

Oggi il razzismo in Italia si manifesta in forme molteplici:

  • nelle barriere all’accesso alla cittadinanza per chi nasce in Italia da genitori stranieri;
  • nelle discriminazioni nel mondo del lavoro;
  • nell’assenza di rappresentanza nei media;
  • in atti di violenza verbale e fisica.

Le discriminazioni razziste continuano a rappresentare una realtà concreta e trasversale, che coinvolge diversi ambiti della vita quotidiana. Secondo i dati più recenti dell’OSCAD (Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori), nel 2022 sono stati registrati 1.384 crimini d’odio, di cui oltre il 50% motivati da ragioni etniche. E la tendenza è in crescita ormai da diversi anni. Inoltre, gli stessi organismi sottolineano come il fenomeno sia ampiamente sottostimato, a causa della scarsa fiducia delle vittime nelle istituzioni e della difficoltà di riconoscere e denunciare gli episodi discriminatori.

Anche i dati raccolti da UNAR (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) confermano questa tendenza: solo nel 2022, oltre 3.000 segnalazioni di discriminazione sono arrivate ai loro sportelli, di cui circa il 37% per motivi etnici. Le aree in cui si registrano più criticità sono l’accesso al lavoro, alla casa, ai servizi pubblici e all’istruzione. Un’indagine ISTAT-UNAR ha inoltre rilevato che il 30% delle persone immigrate ha sperimentato episodi di discriminazione, e che quasi un italiano su tre ritiene accettabile rifiutare un affitto a una persona straniera. Anche la scuola non è esente da queste dinamiche, a partire dalla constatazione che gli studenti di origine straniera sono ancora fortemente concentrati negli istituti professionali, con una scarsa rappresentanza nei licei, segno di un orientamento scolastico non sempre equo.

Anche i mass media hanno un potere enorme nell’affermarsi di questo fenomeno, per la loro capacità di modellare l’immaginario collettivo. Purtroppo, troppo spesso questo potere si traduce nella costruzione di narrazioni distorte sugli stranieri, le persone migranti o gli appartenenti a minoranze etniche e religiose. Titoli allarmistici, linguaggi stigmatizzanti, immagini stereotipate: tutto questo contribuisce a creare un clima sociale in cui la diversità viene associata al degrado, al pericolo, all’illegalità. Uno dei problemi più evidenti è la rappresentazione selettiva e parziale delle notizie. Le persone migranti, ad esempio, compaiono nei media quasi esclusivamente in contesti negativi (sbarchi clandestini o episodi di cronaca nera) e raramente come soggetti attivi, lavoratori, genitori, studenti, cittadini. Questo alimenta una narrazione emergenziale e disumanizzante, che finisce per rafforzare pregiudizi e diffidenze. Inoltre, la mancanza di rappresentanza nei media delle persone con background migratorio o appartenenti a minoranze è un nodo ancora irrisolto. Il mondo dell’informazione, della televisione e dell’intrattenimento in Italia è ancora largamente omogeneo, e offre poche occasioni per raccontare esperienze diverse o dare voce a chi vive il razzismo sulla propria pelle. Per questo motivo, l’UNAR ha più volte sollecitato i media italiani a un uso responsabile del linguaggio, alla formazione dei professionisti dell’informazione e alla promozione di contenuti che valorizzino la pluralità culturale e combattano gli stereotipi.

La lotta al razzismo nelle leggi italiane

In generale, di fronte ai dati allarmanti sul razzismo in Italia, l’UNAR ha più volte ribadito l’urgenza di rafforzare gli strumenti di prevenzione e contrasto alla discriminazione, puntando su alcune priorità:

  • garantire un accesso reale ai diritti fondamentali per tutte e tutti;
  • promuovere una cultura dell’inclusione nelle scuole e nei media;
  • migliorare la raccolta dei dati sulla discriminazione;
  • potenziare le politiche attive per il lavoro e l’integrazione sociale, soprattutto per le comunità più vulnerabili come le persone afrodiscendenti, i rom e sinti, e i minorenni stranieri.

Ma qual è la legislazione vigente in Italia in materia di lotta al razzismo?  Le norme sono diverse, in parte anche frutto della necessità di dare attuazione a convenzioni internazionali e direttive europee.

  • Articoli 604-bis e 604-ter del Codice penale. Queste disposizioni puniscono chi commette atti di discriminazione o violenza per motivi etnici, nazionali o religiosi. Il reato può essere aggravato se il movente razzista è accertato.
  • Legge 654/1975. Adottata per ratificare la Convenzione ONU del 1966, ha introdotto i reati contro chi incita all’odio razziale o compie atti discriminatori. È stata poi modificata e rafforzata dalla Legge Mancino.
  • Legge Mancino (Legge 205/1993). È una delle normative più importanti in materia, perché pone il divieto di gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista e a qualunque forma di incitamento all’odio razziale, etnico o religioso. Prevede come pena la reclusione fino a 4 anni per chi diffonde idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico oppure incita alla discriminazione o alla violenza.
  • Decreto Legislativo 286/1998 (Testo unico sull’immigrazione). Contiene norme che vietano la discriminazione nei confronti degli stranieri e prevede sanzioni contro comportamenti razzisti, soprattutto in ambito lavorativo e abitativo.
  • Decreto Legislativo 215/2003. Ha introdotto il principio di parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza o dall’origine etnica. Si applica in particolare a: lavoro, istruzione, sanità, accesso ai beni e ai servizi. È nata da questa norma anche l’istituzione dell’UNAR.

I dati visti in precedenza, però, rivelano quanto queste misure di lotta al razzismo, seppure formalmente molto forti, non sono ancora riuscite a debellare il fenomeno. A conferma che l’eliminazione delle diverse forme di discriminazione è soprattutto un tema di sensibilizzazione, educazione e costruzione di una cultura accogliente e inclusiva.

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