Villaggi SOS – 17.04.2019

Incontrarsi al Villaggio SOS di Trento

Un'operatrice ci racconta la serie di incontri che si stanno svolgendo a Trento su temi come la violenza sulle donne e la diversità

Chiara, un'operatrice del Villaggio SOS di Trento ci ha raccontato la sua esperienza dei primi due incontri di formazioni del ciclo "Incontrarsi" organizzati dal Villaggio SOS e da altre realtà sul territorio per creare sinergie con il quartiere e con i cittadini e per parlare delle grandi sfide della modernità: dall'accoglienza dei migranti, la violenza sulle donne e l'identità di genere.

"Il percorso formativo organizzato dal Villaggio SOS di Trento quest’anno presenta delle novità importanti. Lo staff di direzione ha accolto alcune idee e proposte emerse nei vari incontri al Villaggio SOS: formazione per tutti, non solo per gli educatori perché la nostra comunità vive grazie al contributo di tutti e perché, anche se interagiamo quotidianamente, qualche volta è bello sentirci di appartenere ad una moltitudine. C’è poi la condivisione con il nostro territorio, l’apertura agli altri, il possibile confronto con chi si interessa di temi a noi cari ma da una prospettiva diversa, da semplice cittadino e non da “professionista” del sociale.

Ma la novità più grande, che mi ha colto quasi impreparata, sta tutta nella parola che forma il titolo del ciclo d’incontri: “Incontrarsi”. Abituata a sessioni di formazione in cui sono gli esperti a parlare e in cui, magari con qualche fatica, alla fine le cose tornano o sembrano tornare ed in qualche modo si possono generalizzare e hai la sensazione così di poter gestire tutte le situazioni che ti si presentano, quest’anno sono le persone che queste situazioni le vivono sulla propria pelle, che ti raccontano “semplicemente” quello che sono, che provano, che pensano. Ho virgolettato la parola semplicemente perché questo cambia tutta la prospettiva: non c’è una teoria che spiega, c’è una persona che per il fatto di essere lì davanti a te e con te, racconta la sua storia, unica e irripetibile ma che raccoglie in sé dei valori universali.

I primi due step del percorso, alla luce dei quali sento che il mio interesse è molto aumentato, ci hanno fatto incontrare da una parte le donne vittime di violenza con i loro figli, dall’altra ragazzi e ragazze gay e lesbiche insieme ai loro genitori. Due temi diversi e fra l’altro molto dibattuti. Nel primo caso posso dire di essere rimasta sconvolta: certi racconti sono stati così forti che, pur provandoci, non sono riuscita ad immedesimarmi. Ho sentito banalmente che io non ce la farei ad andare avanti come fanno loro ed ho sentito una tenerezza fortissima per il tanto dolore che queste mamme e i loro bambini hanno addosso. Pensare al dolore in termini generali è come pensare alle grandi ingiustizie sistemiche che ci sono nel mondo. E perché ci sono sempre state non suscitano impegno duraturo, sembra un dato ineluttabile: è sempre andata così. Ma la persona che il dolore se lo porta addosso non è sistemica è lì e immagino che faccia una gran fatica.

I due incontri con ragazzi LGBT con i loro genitori avevano un taglio diverso ma altrettanto coinvolgente dal punto di vista emotivo. Quello che mi sono portata via è che queste persone, i ragazzi, devono fare un percorso faticoso e quasi sempre anche doloroso, per trovare sé stessi, per capire chi sono. E bene non stanno finché non hanno scoperto questo sé. Poi c’è tutto il problema di come muoversi nel mondo circostante che al massimo ti tollera ma che non ti riconosce per quello che sei. Sentirti raccontare che ancora subiscono bullismo a scuola, che si sentono sempre gli occhi addosso, che quello che dicono e fanno è sistematicamente filtrato, negativamente, dall’avere un orientamento sessuale che non rientra nei canoni. Ma quali canoni mi chiedo. Mi ha commossa il racconto di un padre che ha detto che lui era un papà decentrato, dimissionario. Quando suo figlio gli ha detto di essere omosessuale ha raccontato di un lungo percorso a partire dallo smarrimento, dall’ignoranza, dal pensare che “non era possibile” e che “queste cose” capitano solo agli altri; poi alla fine è stato proprio il genitore a ritrovarsi, a capire chi era veramente tornado a sentirsi di nuovo papà.

Durante il 2019 avremo ancora incontri e sento che via via mi ritroverò più ricca, più in sintonia con la mia umanità, più intima con la vita." 

 

Chiara, operatrice del Villaggio SOS di Trento