Immaginate di essere delle mamme migranti alle prese con una società e una cultura di cui sapete poco o niente; un mondo che spesso vi appare ostile o del tutto indifferente alle vostre difficoltà: nel cercare un lavoro stabile, nel trovare una casa, nell’allevare i vostri bambini, nell’affrontare la burocrazia. È ancora più difficile se siete madri single. E poi c’è la paura. La paura di essere giudicate inadeguate come madri, la paura che qualcuno possa allontanarvi dai vostri bambini. Infine, immaginate che qualcuno vi tenda una mano e vi spinga a fidarvi, che vi offra la possibilità di una rete di sostegno costruita da chi conosce la vostra situazione, magari per averla già vissuta personalmente. Samantha Tedesco, Responsabile dell'Area Programmi e Advocacy di SOS Villaggi dei Bambini ci porta dietro le quinte del Programma Come a Casa, raccontando il lavoro quotidiano che ha portato alla nascita di una nuova realtà di affido.
“Come a casa” è un Programma che nasce 15 anni fa e nasce da una conoscenza in particolare con la coordinatrice del Programma, Precious Ugiagbe, una Mediatrice culturale, una donna africana, che viene contattata dal servizio sociale di Torino perché c'erano alcuni casi di nuclei mamma con bambino in cui non si riusciva a valutare correttamente le competenze di queste mamme nel prendersi cura dei loro bimbi, perché c'era una parte culturale che necessitava di essere vista in maniera adeguata. Quindi, da lì poi la famiglia di Precious ha iniziato ad accogliere questi nuclei mamma con bambino. Poi c'è stato l'incontro con SOS Villaggi dei Bambini che ha immediatamente riconosciuto il valore di questo progetto, perché prima di tutto consente ai bambini di rimanere con le proprie mamme e consente alle mamme di lavorare su delle fragilità che sono legate sia a una componente culturale - quindi di arrivo in un contesto che è diverso dal contesto di provenienza - e sia anche legate proprio al fenomeno migratorio, quindi alle motivazioni della migrazione, alle difficoltà dell'inserimento. E quindi il progetto si è espanso andando a coinvolgere altre famiglie del territorio torinese, andando ad aumentare la capacità di accoglienza all'interno appunto delle famiglie.
Quali erano le difficoltà che creavano degli ostacoli all'integrazione, alla vita di queste giovani mamme con bambini?
C'erano delle donne vittime di tratta, quindi comunque con un passato recente traumatico e i traumi non aiutano rispetto alla cura dei propri bimbi, questo per nessuno. In più c’era una difficoltà linguistica, una difficoltà quindi anche di inserimento sociale, una difficoltà di inserimento lavorativo. Tutte caratteristiche che creavano un forte rischio di emarginazione di questi nuclei, di incapacità di provvedere autonomamente al sostentamento proprio e dei propri figli, e quindi anche un alto rischio di tornare in un circuito negativo proprio per l'impossibilità di entrare invece a far parte di un tessuto sociale, potendo contribuire come lavoratrici attive.
Come SOS Villaggi dei Bambini con questo progetto vi siete trovati a operare in un settore che rientra nelle vostre consuete attività o ha rappresentato una completa novità con cui confrontarsi?
Ha rappresentato una completa novità rispetto alla tipologia e alla modalità di risposta. SOS Villaggi dei Bambini ha come uno degli obiettivi principali quello di prevenire la separazione dei bambini dai loro contesti di provenienza, quindi in questo si inseriva benissimo. La novità consisteva nel fatto che qui la prevenzione della separazione era attuata attraverso un'accoglienza di tutto il nucleo, quindi della mamma con il proprio bambino. Tra l'altro un'accoglienza consensuale. Quindi comunque la mamma è consenziente rispetto ad andare a vivere a casa di una famiglia affidataria insieme al proprio bambino. Questo ha rappresentato una novità, perché normalmente nel momento in cui poi si determina l'accoglienza c'è sempre un provvedimento anche delle autorità giudiziaria, una limitazione della responsabilità genitoriale, invece in questo caso no, non c'è. Quindi le mamme hanno la piena responsabilità genitoriale. L'altra novità è stata l'accoglienza di nuclei di provenienza africana da parte di nuclei misti o anche loro di provenienza africana, quindi una sorta di affido omoculturale. Ecco, questa è stata una novità, una profonda novità.
Perché si rischiava la separazione tra la mamma e il bambino nei casi in cui poi vi siete trovate intervenire?
Perché questi bambini all'osservazione da parte dei servizi competenti presentavano o dei ritardi negli apprendimenti o una difficoltà nell'interazione o nell'osservazione anche dell'interazione mamma-bambino non erano presenti tutti quei comportamenti di accudimento che sono ritenuti necessari per la crescita di un bambino. Quindi il rischio iniziale era che queste mamme venissero considerate come sicuramente necessitanti di un supporto, ma di un supporto individualizzato e nel frattempo il bambino potesse essere collocato in un contesto adeguato. La sfida è stata quella di dire: proviamo ad accoglierli insieme, quindi a lavorare comunque su una competenza genitoriale che è in una fase critica, perché ripeto le donne arrivavano da situazioni di tratta, quindi di violenza, dall'aver comunque dei traumi alle spalle. La sfida è stata quella di provare a lavorare tenendo insieme questo nucleo, quindi vedendo se lavorando insieme queste donne riescono a recuperare una capacità anche di accudimento di bambini piccoli e quindi anche di dedicare il tempo giusto, di stimolarli adeguatamente. E quindi è anche un lavoro davvero di mediazione: per poterlo fare occorre integrare culture che partono da visioni diverse di come si crescono i figli.
Le donne di cui vi siete occupati e di cui vi occupate sono anche richiedenti asilo o rifugiate?
Anche, si è capitato o comunque sono tutte persone che hanno bisogno di una regolarizzazione anche del proprio soggiorno. Quindi c'è anche tutta una parte dedicata al conseguimento dei documenti necessari per poter soggiornare in maniera corretta all'interno del nostro Paese, per poter poi accedere a tutti quei percorsi che consentono l'autonomia. L'obiettivo di queste accoglienze è sempre un obiettivo di autonomia, quindi far sì che poi queste donne, oltre a potenziare la loro capacità di presa in carico dei bambini, possano anche inserirsi lavorativamente e quindi ci occupiamo anche di organizzare percorsi di tirocinio, inserimenti lavorativi. È tutto un percorso che consente loro poi di integrarsi e di diventare dei contributori attivi all'interno del contesto in cui scelgono di vivere.
Cosa significa per queste donne sentirsi 'Come a casa'?
Significa avere un luogo che sentono come casa, un luogo che può aiutarle proprio nell'andare avanti, nel fare pace comunque con un percorso che evidentemente non ha consentito di essere fino ad allora autonome e che però consente loro di stare all'interno di un luogo sicuro in cui davvero potersi allenare per poi uscire. E quindi vuol dire avere la possibilità in maniera molto concreta di una propria stanza, che possono personalizzare, avere la possibilità di cucinare il cibo che desiderano, quindi c'è una cucina a disposizione, la possibilità di fare la spesa, di acquistare il cibo che desiderano e di poterselo preparare, la possibilità alla sera di mettersi su un divano e di guardare la TV, di stare all'interno della propria stanza se si vuole privacy. Ecco, significa questo: sperimentare quello che dovremmo sperimentare tutti nella propria casa, cioè la possibilità di un luogo sicuro in cui io posso stare con i miei affetti.
In pratica, la scelta della formula dell'affido non è una convivenza, quasi un'adozione da parte di una famiglia affidataria; è qualcosa di diverso?
Assolutamente, poi in questo caso diciamo che l'intervento di un'organizzazione come SOS Villaggi dei Bambini ha consentito ad esempio di avere degli spazi molto grandi. E questo facilita il fatto che comunque l'accoglienza da parte della famiglia affidataria è un’accoglienza di supporto, di sostegno, ma che non si sostituisce alla relazione primaria tra la mamma e il suo bambino. Quindi è proprio un’accoglienza tesa all'accompagnamento all'autonomia e non alla sostituzione, e questo fa molto la differenza. Le mamme escono, non solo per andare a lavorare - quando lavorano - per andare a fare il tirocinio, ma escono anche in maniera libera, in maniera autonoma. Sono Incoraggiate a occuparsi dei propri figli, quindi dell'accompagnamento alle attività sportive piuttosto che alla scuola. Quindi è davvero più un sostegno: cioé ti sto a fianco, ti sto accanto e ti aiuto perché tu possa poi camminare con le tue gambe.
L'Organizzazione in che modo interviene in questo processo, che poi è un processo che si svolge sul quotidiano...
L'Organizzazione si occupa di tutto il mantenimento della struttura dal punto di vista proprio delle spese quotidiane: luce, gas, spese condominiali e quant'altro. E poi offre un supporto anche dal punto di vista della supervisione, dell'accompagnamento dell'equipe, dell'accompagnamento delle mamme stesse. In più, c'è tutto l'allargamento del Programma ad altre famiglie del territorio e quindi la possibilità di avere appunto un numero di famiglie affidatarie più ampio della prima originale, quindi anche un numero di accolti più ampio.
Quali sono le difficoltà che ancora vi trovate ad affrontare nel portare avanti questo progetto?
Ci sono delle difficoltà, per esempio, legate all'inserimento lavorativo. In un contesto non facile per nessuno, sicuramente questo è un elemento di difficoltà, cioè noi abbiamo la possibilità di attivare dei tirocini, di fare dei percorsi di inserimento lavorativo accompagnato, non è facile trovare dei posti disponibili, a volte non è facile tenere rispetto a questi percorsi. Quindi, sicuramente l'inserimento lavorativo è un elemento di difficoltà, legata proprio a una conoscenza superficiale del fenomeno migratorio e quindi, a volte, una stigmatizzazione, piuttosto che una mancata valorizzazione del potenziale che hanno comunque le persone che accogliamo e che, quando sono adeguatamente sostenute e riescono a diventare autonome, diventano poi assolutamente degli elementi che contribuiscono al benessere di tutta la società.
Quant'è importante, per il successo di iniziative come quella che SOS Villaggio dei Bambini sostiene del Programma Come a Casa, l'appoggio da parte delle istituzioni e in particolare degli enti locali?
È fondamentale. Noi abbiamo da sempre una collaborazione ottima con il Comune di Torino, veramente ottima, perché c'è stata da sempre molta collaborazione sia nella gestione anche di alcuni casi complicati, una fiducia anche reciproca e molta collaborazione anche nel sostegno a questo progetto. Il Comune di Torino ci ha spesso portato delle situazioni molto delicate, che necessitavano di una accoglienza competente, calorosa, riconoscendo il valore di questo tipo di Programma e non ha mai fatto mancare il proprio supporto. Quindi è fondamentale l'alleanza in questo senso con l'ente locale.
Quanto sarebbe importante riuscire a estendere un programma di questo tipo sull'intero territorio nazionale?
Sarebbe molto importante poter esportare questa modalità di accoglienza. Prima di tutto perché dal punto di vista, diciamo, dell'investimento degli enti locali è un investimento minore, perché comunque stiamo parlando di contributi a delle famiglie affidatarie: sono degli interventi di breve-medio termine, questi nuclei abbastanza velocemente raggiungono poi l'autonomia e possono quindi uscire dal percorso consentendo ad altri nuclei di entrare. Ha un valore inestimabile dal punto di vista anche culturale, perché io intervengo là dove ci sono delle difficoltà che sono in gran parte legate a un percorso migratorio e quindi lavoro in un'ottica di superamento di queste difficoltà, di integrazione e a quel punto le persone poi sono autonome non hanno più bisogno di essere nel circuito comunque della presa in carico.
Quindi sarebbe fondamentale da un punto di vista diciamo di risparmio delle risorse investite e da un punto di vista culturale e anche di capacità di cooperare tra persone. Sono famiglie che accolgono famiglie. L'istituto dell'affido familiare è un istituto che va recuperato in Italia, che va sostenuto, che va valorizzato e ha un potenziale enorme; a maggior ragione l'accoglienza da parte di nuclei omoculturali permetterebbe anche quella parte di mediazione culturale che altrimenti deve necessitare di un supporto esterno. Se, invece, io vengo accolta da un nucleo che ha la mia stessa provenienza questo facilita. Per cui ci piacerebbe molto espandere questo progetto.